A quasi 80 anni dalla sua emanazione, la legge fallimentare cambia: il Regio decreto del 16 marzo 1942 è oggetto di un profondo ammodernamento,. Sin tratta di una riforma che parte dal nome: non si parlerà più di fallimento. Al fine di contribuire a eliminare il giudizio sociale di disvalore che il termine “fallimento” porta ormai con sé da anni e a diffondere una cultura sana della cosiddetta “seconda chance”, tale parola viene sostituita con espressioni quali “insolvenza” e “liquidazione giudiziale”. Il procedimento per l’approvazione della riforma è entrato nel vivo dopo che il consiglio dei Ministri ha approvato nella seduta del 10.2.2016 il testo elaborato dalla commissione Rordorf, trasfuso in un progetto di legge delega.
Il nuovo testo, nel riscrivere la legge fallimentare, non riguarda solo il fallimento in senso stretto, ma anche l’amministrazione straordinaria, i privilegi e le prededuzioni, il nuovo concordato preventivo, la specializzazione dei magistrati e, non in ultimo, il rilancio della procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
Viene inoltre prevista anche l’assoggettabilità alla disciplina della crisi e dell’insolvenza di soggetti come l’imprenditore agricolo o il consumatore, storicamente sottratti alle procedure concorsuali.
Uno dei punti focali della riforma è la previsione di procedure di allerta e mediazione capaci di rivelare, in anticipo, la crisi dell’azienda, in modo da arginare i danni. Introdurre procedure che facilitino l’emersione della crisi in via anticipata, pur con naturali meccanismi di riservatezza al fine di evitare facili strumentalizzazioni, evita che la crisi di un’impresa si espanda, a macchia d’olio, sulle altre o sui consumatori.
La competenza a gestire tali procedure viene attribuita ad organismi non giudiziali.
Molto spesso l’imprenditore, sia per motivi reputazionali, sia per motivazioni psicologiche, tende a sottovalutare i chiari sintomi della crisi per poi decidersi a prendere i dovuti provvedimenti quando è ormai troppo tardi. Le nuove procedure di allerta e mediazione tendono ad evitare proprio questo, anche nell’interesse dell’economia nazionale e della stessa continuità aziendale. Quella delle procedure di allerta e mediazione è un’area che non è stata mai oggetto da parte di alcuno dei vari interventi parziali di riforma che si sono succeduti a partire dal 2006 e che, proprio per questo, potrebbe avere il maggiore potenziale riformatore.
Il problema di fondo – secondo alcuni analisti del settore – è l’atto di riconoscimento, da parte dell’imprenditore, della sussistenza della crisi. Per risolvere la difficoltà economica dell’impresa è spesso necessario modificare la governance: in un tessuto imprenditoriale di carattere famigliare è quindi difficile che l’imprenditore accetti di fare un passo indietro rispetto alla gestione di ciò che considera una creatura propria. In secondo luogo, solo sanzioni gravi per la responsabilità di una tardiva emersione della crisi potrebbero indurre gli amministratori ad accedere tempestivamente alle soluzioni previste dalla legge fallimentare.
Trattandosi di una procedura definita di mediazione, «il suo successo dipenderà in larga parte dalla cooperazione dell’imprenditore e dalla sua volontà di accedere a tale procedura.
Feb 12