Spesso negli accordi di ristrutturazione dei debiti le trattative si complicano perché alcune banche si oppongono per cercare di ottenere condizioni migliori. In genere si tratta di banche che hanno una minore esposizione e questa situazione può creare gravi pregiudizi all’impresa che si trova a proseguire la propria attività in una situazione di crisi senza poter realizzare operazioni funzionali ad un piano di risanamento, finché l’accordo di ristrutturazione non è definito.
A tal proposito, la L. 6 agosto 2015 n. 132, di conversione del D.L. 83/2015 ha introdotto nella legge fallimentare l’art. 182 septies, norma speciale che consente di stringere accordi di ristrutturazione più facili esclusivamente con il ceto bancario (banche ed intermediari finanziari, quindi anche società di leasing e factoring), accordi negoziabili se l’esposizione dell’imprenditore risulti superiore alla metà dell’indebitamento complessivo.
Il nuovo articolo consente, in sostanza, di “forzare” l’adesione delle banche non aderenti alle condizioni proposte, assoggettando il ceto alle decisioni della maggioranza, purché:
(i) l’accordo sia stato accettato da un’ampia maggioranza (almeno il 75% di valore dei crediti) delle banche che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle banche dissenzienti (qui occorre che siano previste nell’accordo una o più “categorie” di creditori);
(ii) le banche non aderenti siano soddisfatte in base all’accordo almeno nella stessa misura in cui sarebbero soddisfatte nelle “alternative concretamente praticabili” (concordato preventivo o fallimento).
Queste “categorie” di creditori bancari dovranno essere previste come condizioni particolari dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e quindi dovranno essere condivise con le banche che partecipano all’accordo stesso: non si tratta quindi di un “potere” che il debitore possa esercitare unilateralmente, ma si tratta piuttosto di un “potere” che spetta alle parti aderenti all’accordo.
Saranno quindi congiuntamente il debitore e le banche aderenti all’accordo a dover assumere la decisione di “forzare” l’adesione delle banche minoritarie per vincerne l'”ostruzionismo”: fino ad oggi, quando si veniva a creare una situazione di stallo di questo tipo, il debitore poteva essere anche costretto a ricorrere alla domanda di concordato preventivo, con risultati in genere più sfavorevoli sia per il debitore stesso che per tutti i creditori (bancari e non bancari).
L’adesione “forzosa” della banca dissenziente in ogni caso produce gli stessi effetti dell’adesione volontaria, anche ai fini del calcolo della quota del 60% dei crediti prevista come condizione di omologazione dell’accordo ai sensi dell’art. 182-bis l.fall.
Ott 9