La caparra convenuta nel preliminare di compravendita è assoggettabile a imposizione diretta in quanto la prestazione principale, rimasta ineseguita, può costituire reddito ai sensi dell’articolo 67, comma 1, del Tuir. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, con la sentenza 11307 del 31 maggio 2016.
La Corte di legittimità ha preliminarmente evidenziato la natura risarcitoria della caparra incassata dal promissario venditore per inadempimento della parte promissaria acquirente e, successivamente, ha statuito per l’assoggettamento della somma a Irpef come plusvalenza imponibile.
La funzione della caparra confirmatoria è quella di tutelare le parti contraenti nel caso di inadempimento contrattuale e va distinta dalla caparra penitenziale disciplinata dall’articolo 1386 del codice civile, secondo cui “se nel contratto è stipulato il diritto di recesso per una o per entrambe le parti, la caparra ha la sola funzione di corrispettivo del recesso. In questo caso, il recedente perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuta”.
Entrambe le somme, avendo funzione risarcitoria del danno in caso di inadempimento ingiustificato ovvero di recesso di una delle parti e non costituendo, dunque, corrispettivo dell’operazione, non rientrano però nel campo di applicazione dell’Iva ai sensi degli articoli 2 e 3 del Dpr 633/1972.
Giu 7